Intervista a Gianna

Note contestuali

Svolgo l’intervista a Gianna (nome di fantasia) in due differenti momenti. Il primo presso la sede del laboratorio di via Benacense II, dove svolge la sua attività. Il secondo presso la struttura dove attualmente vive in Via Valbusa, a Rovereto, sede della cooperativa Punto d’Approdo.

L’intervista infatti è stata interrotta nella sua prima parte dall’andirivieni delle colleghe nella stanza che abbiamo scelto per l’intervista stessa che entravano in pausa.

Per tale motivo non è stato possibile proseguire nell’intervista nel modo adeguato.

Ho proposto di trovare un altro momento e la proposta è stata accettata.

Gianna ha 24 anni, è ospite della cooperativa sociale Punto d’Approdo di Rovereto da quasi due anni. Residente a Trento ed è mamma di due bimbi. Preparata all’intervista, è stata informata. E’ sorridente e disponibile. Sguardo diretto, atteggiamento un po’ “recitato”.

Come è entrata a far parte del progetto Le Formichine?

L’ho chiesto all’operatore della comunità dove vivo. Ne abbiamo parlato insieme e poi abbiamo fatto la richiesta.

Quale è la sua preparazione di studio e professionale?

Ho frequentato la Scuola per parrucchiere a Trento, un Istituto professionale della durata di tre anni.

Aveva avuto precedenti esperienze lavorative?

Sì, come barista ed poi ho lavorato in una ditta di pulizie. Ero assunta e lavoravo anche quando ero nell’altra struttura a Trento.

Quale è stata o quale è la sua esperienza nel progetto?

Ho fatto più cose senza trovare difficoltà nello svolgerle. Non sento nessuna differenza fra lo stare in cooperativa, in via Valbusa, oppure a stare qui con le altre e svolgere il lavoro. Per me l’esperienza è utile, mi permette di misurarmi col lavoro, è una esperienza che faccio. Voglio vedere quanto pazienza riesco a tenere.

Mi puoi indicare tre aspetti positivi e tre aspetti negativi o critici? Ha incontrato difficoltà nel corso dell’esperienza?

Aspetti positivi per me… prima di tutto penso di trasmettere una immagine positiva della cosiddetta “donna in difficoltà”. Mi spiego: per chi mi guarda da fuori vede una immagine di donna positiva, spiego alle persone che mi chiedono cosa faccio e vedo che da pensiero negativo, da stereotipo, passano a pensare positivo, glielo spiego cosa faccio. In questo modo la difficoltà che vivo mi sembra che la gente impari a vederla non come una malattia. Poi il laboratorio è una palestra di allenamento alla vita. Penso sia anche una scuola, dove si impara.

Incontro altre persone, altre donne anche di culture diverse. Qui inoltre, nel laboratorio, posso sbagliare e non succede niente. Aspetti negativi sono quello di sentirsi dire e dare etichetta di “donna in difficoltà” e quello di non avere uno spazio mio. Sento l’esigenza di andare oltre, di andare avanti, sento questa esperienza ormai come già fatta, già compiuta.

Secondo lei, in seguito alla sua esperienza, o nel corso di essa, sono avvenuti dei cambiamenti in termini economici (competenze professionali), sociali (relazionali), umani (fiducia in sé e negli altri)? Quali?

Economicamente la mia situazione non è cambiata e dall’esperienza in laboratorio. Non ho tratto alcun cambiamento economico se non quello di una piccola somma che ricevo per ogni ora di lavoro che faccio. Sono già cinque anni che vivo in Comunità (non solo in comunità del Punto d’Approdo), e mi pare che dal punto di vista umano di cambiamenti umani ne ho vissuti tanti. Il Laboratorio mi ha permesso di confrontarmi con le colleghe e gli educatori; di ascoltare il prossimo e di essere ascoltata, di misurare le mie capacità e accrescere la mia autostima.

Pensa di aver incrementato la sua rete di relazioni e la sua autostima?

Ho fatto dei mercatini anche da sola organizzando tutto il lavoro da me. Sicuramente ho acquisito maggiore precisione e sicurezza nel fare le cose.

Consiglierebbe ad altre di partecipare al progetto e perché?

Si suggerirei di fare la stessa esperienza anche ad altre donne come me perchè è uno spazio dentro il quale è possibile sperimentarsi liberamente.

Intervista a Samida di 21 anni, Iraniana

Note contestuali

L’intervista si svolge presso il laboratorio di stireria del Punto d’Approdo, in via Benacense seconda, nel piccolo ufficio. Samida chiede non venga fatto il suo nome in quanto è una rifugiata politica. Coniugata, non ha figli.

Come è entrata a far parte del progetto formichine?

Due educatrici del Cinformi mi hanno accompagnata qui direttamente al laboratorio. Lo frequento da due anni. Fra un mese finisco perché vado ad abitare in un’altra città.

Quale è la sua preparazione di studio e professionale?

Ho fatto il liceo sportivo che in Iran ha una durata di cinque anni e poi ho proseguito gli studi all’Università, sempre in Iran. Ho iniziato a frequentare l’Università di Trento, ma non ho proseguito per motivi di salute e per motivi economici, non avevo i soldi per sostenere le spese.

Aveva avuto precedenti esperienze lavorative?

Al mio Paese ero impiegata in una assicurazione e studiavo management all’Università, svolgevo tutte e due le cose insieme. Qui in Italia ho fatto la commessa a Levico Terme ed un corso di formazione al lavoro, per il quale ho svolto funzioni di front office in un albergo sul lago.

Qual è stata, o qual è, la sua esperienza nel progetto?

Trovo interessante lavorare con tante donne. Vengo qui non solo per i soldi ma anche per fare un lavoro creativo, al laboratorio lavoriamo con tanti materiali diversi come per es. il feltro, mi appassiona.

Penso che non mi sia utile questo lavoro per il mio futuro ma per fare esperienza di come si lavora sì, come stare con gli altri “dentro il lavoro” e anche per me stessa: sarò più forte nel cercare e trovare un altro lavoro. L’ambiente è famigliare e mi trovo bene.

Mi può indicare 3 aspetti positivi dell’esperienza fatta e 3 aspetti negativi o critici? Ha incontrato difficoltà nel corso della sua esperienza?

Positivo per me è il rispetto che trovo qui dentro delle persone, la possibilità di imparare, la tranquillità nel fare il lavoro che per me diventa anche tranquillità personale. Negativo è per me il tempo che passa troppo lentamente, la mia permanenza è troppo lunga. Al momento non ho alternative e quindi piuttosto di rimane a casa vengo qui.

Secondo lei, in seguito alla sua esperienza, o nel corso di essa, sono avvenuti dei cambiamenti in termini economici (competenze professionali), sociali (relazionali), umani (fiducia in sé e negli altri)? Quali?

Mi sento più sicura, più paziente, mi confronto con donne di altre culture e questo è molto bello e importante. Mi sento più forte e preparata ad affrontare nuove situazione come il cambiamento di città.

Pensa di aver in qualche modo incrementato la sua rete di relazioni? E la sua autostima?

Frequentare qui mi ha dato la possibilità di pensare, di capire quello ciò che è meglio per me, dopo tanto stress che ho provato. Ho capito per esempio che quando studio sto molto bene.

Consiglierebbe ad altre di partecipare al progetto? Perché?

Si consiglierei ad altre donne di compiere questo percorso per la tranquillità che dona, per l’ambiente molto positivo, anche se ricevo pochi soldi ho ricevuto molto altro.